L’emergenza climatica, le migrazioni e un clima sempre più diffuso e violento di intolleranza stanno rendendo quanto mai attuale non solo gli scritti di Alex Langer, ma lui stesso, con i suoi gesti di resistenza quotidiana, col suo modo di intendere la politica, col suo messaggio «più lento, più soave, più profondo».
La definizione che, a mio modesto avviso, più si adatta ad Alex Langer è quella di costruttore di ponti, di spazi di dialogo e di tentativi di convivenza. Ci sono delle pagine scritte da Langer e pubblicate da Nigrizia nel 1989: «Non basta l’antirazzismo». In quelle pagine Langer rivolge una critica esplicita nei confronti della sinistra, incline a «a gridare “al lupo” (fascista o neonazista), salvo poi perdere clamorosamente grosse percentuali di elettori che passano direttamente dai comunisti a Le Pen (come in Francia), o al MSI (come a Bolzano) ed alla “Lega lombarda” (come in Brianza) o dalla socialdemocrazia ai “Republikaner”: una dimostrazione che la pura esecrazione e la condanna verbale di voti ed atteggiamenti bollati come “razzisti” non fanno poi grande impressione e non dissuadono più di tanto».
Ritengo che sia importante sottolineare che per Langer l’antirazzismo non era inutile, ma era “non sufficiente”: la pratica della convivenza – anche nelle cose più semplici e quotidiane – era per Langer uno strumento estremamente più potente dell’antirazzismo per far cambiare idea a chi fosse rimasto affascinato da messaggi, proposte, pratiche e politiche d’odio.
Se Langer proponeva di costruire dialogo con tutti è perché si rivolgeva anche a questi, rimasti affascinati. Non di certo ai fascinatori, ai propagatori di fascismo alla carta.
Sembra scontato dirlo, ma la battaglia di Langer è stata una battaglia contro i fascismi, i razzismi, i nazionalisimi, i separatismi. Una battaglia condotta con parole e pratiche di pace, proprio perché rifiutava di combattere i fascismi con le medesime armi dei fascismi.
«La causa della pace – scriveva Langer nel 1989 – non è più separabile da quella dell’ecologia, dalla salvaguardia della natura, così come non è separabile da quella della giustizia e della solidarietà tra i popoli, e tra sud e nord del mondo».
Da pochi giorni, in libreria, trovate «Il piano Langer», curato da Pippo Civati. L’operazione azzardata e vincente di Civati consiste nel far commentare a Langer, con suoi scritti del tempo, l’attualità. E nel far commentare il tutto a Irene, una giovane donna nata nel 1995, dopo la morte di Langer. Il tempo per salvare il pianeta stringe, e la questione non può che essere anche generazionale.